NdA: One-shot estemporanea che è il regalo di Natale&Capodanno&Epifania per Katia
Siamo all'inizio di DdP 10, quindi personaggi e contesto sono quelli canon ma con sviluppi diversi. Ovviamnete, trattandosi di me, la storia è assolutamente Luca-centrica (sorry?) e molto introspettiva e molto meno sentimentale di quelli che erano i miei standard 10 anni fa ahahah Spero che sia comunque passabile (soprassediamo anche sulla ripetitività degli argomenti trattati lol).
Katia, spero ti piaccia! Buone feste

La vita è come ci vuole

Luca sbatte sulla scrivania il mucchietto di fogli che ha davanti, i margini che si allineano in una perfetta linea retta, e si sforza di trovare la voglia e la calma per compilarli. Sospira, acutamente consapevole che non ha né l'una né l'altra, perdute da qualche parte - forse al telefono col questore, forse tra le firme di un altro mucchio di carta. La verità è che a Luca girano un po' le scatole, in senso generale proprio. Perché non è che non sia felice di suo, no, per esserlo quello lo è, per quanto possibile almeno. O qualcosa che gli somiglia, ecco. Il problema, sempre in senso generale, è questa sensazione di fastidio che gli si è incollata addosso ormai da mesi e di cui non riesce a liberarsi in nessun modo. Sapesse almeno da dove proviene sarebbe meno frustrante. Va bene, questa, la parte del non sapere da dove viene la sua insofferenza, è una bugia. Luca lo sa da dove proviene. Luca lo sa benissimo che cos'è che lo manda al manicomio un giorno sì e l'altro pure. È tutta la situazione del Decimo, la chiusura del Distretto che incombe ancora come una spada di Damocle sulle loro teste, solo spostata di lato un pochino, quel tanto che basta per essere il contentino che lo tiene buono e che gli impedisce di andare a fare storie in questura. Peccato che di riflesso a lui girino le scatole e, in questo caso, in un senso molto molto specifico. Luca lo sa che potrebbe non durare, che il Decimo ancora aperto potrebbe essere una concessione a tempo e basta e, soprattutto, sa quante persone verrebbero colpite da una cosa così. Conosce i nomi di ognuno degli agenti che lavorano lì e l'idea che prima o poi possano comunque finire per strada, fuori di lì, è qualcosa che gli consuma la mente e la tranquillità. Forse è un po’ estrema come reazione ma il Decimo non è mai stato un distretto qualunque, il senso di famiglia è sempre stato così forte da rasentare a volte una specie di attaccamento patologico l'uno agli altri. Non un atteggiamento sanissimo forse, ma Luca ci si è rassegnato da un pezzo, lui come gli altri che sono ancora lì, nonostante tutto - le difficoltà, i cambiamenti, le proposte.

Luca sospira, i fogli da compilare ancora in bianco davanti a sé, il post-it verde fluo con su scritto “chiama Patrizi” che lo fissa incollato alla cornetta del telefono. Luca si abbandona all'indietro e la sedia dondola sotto il suo peso allo stesso ritmo con cui lui scuote la testa. Patrizi e le sue continue proposte, di certo non si può dire che il Maggiore si lasci fiaccare da un no. O da molti no. O dalla fermezza con cui quei no vengono pronunciati. Luca accartoccia il post-it e si prepara mentalmente al loro solito teatrino - i saluti, le indagini che si sovrappongono, la proposta di trasferimento alla DIA buttata lì come uno scherzo, il no fermo ed educato che la rispedisce al mittente. Un po’ la cosa lo diverte e lo lusinga, quasi fosse la prova di tutto quello di buono che ha fatto. Luca e la sua insicurezza si accontentano di poco.

Il telefono sulla scrivania vibra e si illumina. Luca si sporge in avanti e vede il nome di Anna e un messaggio che scompaiono rapidi quando lo schermo torna buio.

L'insofferenza risale a fior di pelle perché, come se non bastasse tutta l'incertezza del Decimo, ci si mette anche quella della sua vita privata, se così si possono definire le ore confuse e solitarie che soffoca in una casa vuota, cercando di convincersi che va tutto bene. Cosa difficile da fare considerando che Luca non sta bene e che gli girano le scatole, in senso generale ma anche in uno molto molto specifico, che è la questione del Decimo e che è Anna.

Se Luca avesse un po' di coraggio in più lo ammetterebbe anche a sé stesso, non ci girerebbe intorno facendo finta che sia tutto a posto ma lui, che è coraggioso fino a essere incosciente, in questo caso è un codardo. Luca fa finta di niente e fa del suo meglio per non turbare quel briciolo di flebile equilibrio che si è ristabilito tra lui e Anna e che vive di telefonate e di messaggi e di un su e giù in treno che li avvicina e li allontana e che li ingarbuglia, alla faccia del loro far finta di niente. Perché Luca finge spudoratamente ma Anna non è di meno. Lei si riempie la bocca di Trieste, dell'università e di quanto tutto sia perfetto ed appagante, eppure ogni occasione è buona per scendere a Roma e pazienza se tanto basta per mandare all'aria quella che lui spaccia a sé stesso per equilibrio.

È così anche oggi con quel messaggio sul telefonino di cui lui già conosce il contenuto. Sa che nel messaggio Anna gli ricorda che arriverà nel weekend per vedere la casa nuova e a Luca torna in mente il modo in cui lei ha detto “casa nuova” ogni volta che ne hanno parlato al telefono, come se lui stesse commettendo un peccato mortale a cambiare casa. Come se fosse un crimine cercare di ricominciare in un posto che non gli procura un attacco di panico ogni volta che si guarda intorno e si rende conto di quello che è stato e adesso non è più.

Luca lo sa che la casa non le piacerà, lo sa, eppure si arma di tutto l'entusiasmo di cui è capace, sblocca il telefono, legge il messaggio e digita la solita risposta di quei giorni: “Non vedo l'ora”. Stavolta, ci aggiunge anche una bella sfilza di punti esclamativi, perché va tutto bene, giusto?

I fogli sulla scrivania sono ancora bianchi, i margini allineati in una linea retta. Luca sospira e gli girano un po' le scatole e la colpa è sua.


L'entusiasmo di Luca affronta il weekend come una piantina di mentuccia affronta la canicola estiva di un quindici d'agosto qualunque, cioè con una certa sofferenza. A nulla è servito l'abbraccio di Anna quando è arrivata in stazione, il naso freddo premuto contro il suo collo e le braccia a stritolarlo in una presa che è durata troppo poco e che è riuscita solo ad illudersi che tutto fosse uguale. Succede ogni volta che si rivedono e quel primo momento in cui si ritrovano è come un tuffo nel passato, quando quella era la normalità e di mezzo non c'era la distanza fisica e mentale che adesso invece punteggia tutto il loro rapporto. Il bello è che lo sanno entrambi, ma entrambi lo ignorano, si dipingono sulla faccia il loro miglior sorriso e ingoiano a vuoto delusione e nostalgia anche se sono faccia a faccia. Anche se è una di quelle cose che contribuisce a tutto il giramento di scatole di Luca, anche se è una cosa in cui sono bloccati, una specie di recita a cui sono costretti per far restare tutto com'è, perché l'alternativa è il niente. E forse sarebbe meglio ma nessuno dei due ha il coraggio necessario per staccare la spina a questo rapporto che traballa di cose pensate e non dette.

Luca apre lentamente la porta di casa, si fa di lato e indica l'entrata con un braccio teso e un mezzo inchino, gli ultimi rimasugli di entusiasmo che naufragano, anche stavolta è come sempre, nei pensieri che gli si incorrono in testa, caotici e stupidi e insensati.

Anna scuote la testa, sorride ed è una cosa dolce ed affettuosa e c'è una parte di Luca, piccola e addolorata, che un po' la odia per questo, per come lo guarda. Perché come fa a essere giusto quello sguardo lì che sembra amore e invece chissà che cos'è? La domanda gli brucia sulla punta della lingua e prima o poi dovrà trovare la faccia tosta per chiederglielo, anche solo per togliersi la curiosità. Prima o poi. Ora, ricambia il sorriso e basta, d'istinto. E chissà com'è lo sguardo che ha in faccia lui, se anche il suo sembra amore, se si capisce che lo è davvero.

Anna distoglie lo sguardo per prima, gli occhi bassi dietro i capelli che le coprono la faccia, poi li rialza, raddrizza le spalle e si avvia dentro casa. Anna si guarda intorno: il lungo corridoio, la sala col divano e la libreria e il balcone con le tende tirate, dall'altra parte solo porte chiuse. Poggia la borsa sul divano e percorre con la punta delle dita il profilo di uno scaffale dove i libri appaiono allo stesso tempo familiari e fuori posto. Anna storce un po' la bocca ma sta zitta perché le sembra una cosa strana da criticare. Luca la osserva appoggiato al muro, le braccia conserte, incuriosito e preoccupato tutto insieme. Anna gli passa accanto e gli stringe un braccio con qualcosa a metà strada tra una carezza e una pacca incoraggiante. Luca accoglie il gesto e si prepara al peggio. Anna apre le porte e si fa strada in ogni angolo di casa sua. Per prima cosa si infila in cucina, apre ogni singolo sportello e il frigorifero e persino il congelatore, ed è tutto uno scuotere di testa e di capelli e un no no no che è pura disapprovazione; anche la camera che è un mezzo studio sembra non superare l'esame, al contrario del bagno che, invece, sembra andare abbastanza bene. Il problema vero però, quello più grande, a quanto pare è la sua camera da letto: Anna la osserva a lungo dalla soglia della porta come se fosse così sbagliata da non trovare nemmeno la forza di metterci piede. Quando finalmente ci riesce, Anna sospira, si sfila il cappotto e lo butta sul letto, poi lo segue e si siede, le mani che affondano nel piumone.

«Non so cosa dire, Luca… è tutto così… triste.»

Anna pronuncia l'ultima parola con una certa difficoltà, come se davvero avesse provato a tenersela per sé e le fosse scappata incontrollata insieme a tutta la sua delusione quando proprio non era più stato possibile fingere che la casa non fosse un disastro totale.

Luca fa spallucce, si aspettava quel giudizio negativo.

«Luca, è una cosa terribile, sembra… Non lo so, sembra… così triste!»

«Sì, ho capito, lo hai già detto che è triste. Cosa ti aspettavi? Una discoteca?»

«Non lo so! Non mi aspettavo una discoteca, ma neanche questo!» e Anna indica tutto e niente. «È tutto così squadrato e bianco. Mammamia quanto bianco, Luca! I muri, la libreria, il divano e perfino qui… il letto, l'armadio, tutto bianco. Questo non sei tu! Anzi, tu non sei proprio da nessuna parte qui dentro!»

Anna suona preoccupata, ma Luca registra solo la durezza del giudizio.

«Mi serviva una casa dove stare, che fosse comoda e vicino al Decimo, tutto qui.»

«Okay, vicino al Decimo posso capire, ma comoda, Luca, quello no! È piccola, l'ufficio poi, è addirittura minuscolo e non parliamo della cucina… Cioè, non c'è nulla e va bene, quello non dipende dalla casa ma da te. Il frigorifero è vuoto, nella dispensa c'è il minimo necessario… non è una casa, sembra una di quelle cose da esposizione che porti a visitare e tutti ti scartano perché…»

«Fammi indovinare, perché è triste!»

Adesso Luca è sulla difensiva, perché percepisce chiaro come il sole che nella critica di Anna c'è qualcosa che va oltre il fatto che la casa possa davvero piacerle oppure no. Lo sa e gli dà fastidio comunque, perché gli pare ingiusto.

«Sì, okay, lo so che sembro un disco incantato se dico un'altra volta triste, ma lo è. Io mi ricordo la casa dove vivevi prima e quella dove abbiamo vissuto noi due insieme: erano tutta un'altra cosa! Lì ti giravi e lo vedevi, lo capivi che era casa tua. La tua camera era piena di colori e c'erano così tante cose che avevi scelto tu personalmente, mentre qui, no. Questa non è casa.»

«Certo che non lo è, Anna! Ci sto da un mese e l'ultima cosa a cui ho pensato è come arredarla o di che colore fare i muri. Anna, questa è necessità, va bene? La casa dove stavo prima è stata casa mia per tanto tempo e quella che abbiamo condiviso noi, beh, quella era tutto un altro discorso.» Luca vorrebbe finirla lì, ma lei lo fissa ad occhi sgranati, le dita passate nervosamente tra i capelli, e lui finisce per dire troppo. «Te lo ricordi come ci siamo arrivati a quella casa, sì? Era un'altra storia, un'altra cosa completamente. Questa casa qui è semplicemente necessità, perché mi serviva un posto dove stare-»

«Ce l'avevi un posto dove stare, Luca, e non capisco perché-»

«-un posto che potessi permettermi! Anna, che ci facevo là dentro da solo in una casa che era grande anche quando ci stavamo in due?»

«Non sei da solo, faccio avanti indietro, lo vedi!»

«Sì, finché non ti stancherai! Adesso fai avanti e indietro perché ti stai ancora ambientando e perché mi hai promesso che non sarei mai stato roba vecchia e allora ci stai provando. Adesso, perché poi le cose cambieranno e il distacco ti farà meno male e ti basteranno la tua meravigliosa Trieste e l'università. E a quel punto questo avanti e indietro finirà e io resterò da solo.»

Luca sputa fuori l'ultima frase con una rabbia dolorosa che gli mozza il fiato in gola e Anna risponde a tono, e sembra di essere tornati indietro di mesi, a quando non riuscivano a parlare senza litigare.

«Sei ingiusto, se avessi voluto chiudere lo avrei già fatto da un pezzo, invece sono qua. Sono qua, Luca, e quando ho detto che non ti avrei mai dimenticato e che avresti sempre fatto parte della mia vita, ero sincera. Lo so che prima di andarmene ho fatto un casino, ma ci sto provando davvero a sistemare le cose, anche se sono lontana. Mi sto sforzando, tu invece ci hai messo così poco a impacchettare quel pezzo della nostra vita e a scambiarlo con una casa nuova.»

Ad Anna trema la voce, per la frustrazione e le lacrime trattenute. Eccolo, il vero peccato di Luca, ancora una volta, quello di aver provato a non farsi del male. E gli sembra così una cattiveria che Anna glielo rinfacci come se fosse una cosa fatta per danneggiare lei e non per salvaguardare lui. Ci sono già passati per questo labirinto di sentimenti, per questo dedalo di amore e amicizia in cui sono riusciti a trovare sempre e solo l'uscita sbagliata.

Luca si passa le mani tra i capelli e tira. Il dolore è una presa di coscienza, è la consapevolezza che non si capiscono più e che è così da tanto tempo ormai. D'altronde quando l'amicizia diventa amore non si può tornare indietro e pretendere che si possa fare il tragitto al contrario è solo un'illusione. E illudersi non funziona più, non si capiscono e basta. Tanto vale dirsi tutto, allora.

«Anna, io non ho impacchettato il nostro rapporto come una casa da lasciare, ho solo cercato di rimettere insieme i pezzi dopo che te ne sei andata. Negli ultimi tempi, in quella casa c'eravamo solo io e la mia confusione e, credimi, è una pessima accoppiata. Erano mesi che non ci stavo più bene lì, che non ci stavamo più bene, e invece di parlarne abbiamo fatto tutto il contrario. L'ho fatto anche io il casino, lo so, ma speravo che il tempo che ti avevo chiesto ci avrebbe aiutato a sistemare tutto. Ci speravo così tanto, Anna! E invece, abbiamo chiuso l'indagine sui russi e due giorni dopo ti sei presentata in ufficio e mi hai detto “Me ne vado a Trieste” e non mi sei sembrata particolarmente preoccupata della casa che ti lasciavi alle spalle e di chi ci lasciavi dentro. Tu te ne sei andata e io sono rimasto qua, a far finta che andasse tutto bene.»

Anna lo sa che non va bene, non è così stupida da pensare davvero che tutto sia come prima, e non solo perché a dividerli c'è mezza Italia. A dividerli ci sono anche e soprattutto una marea di cose non dette o bellamente ignorate, perché occhio non vede e cuore non duole. O almeno così si è ripetuta lei fino allo sfinimento. Solo che è più facile farlo quando la voce abbattuta di Luca è dall'altro capo del telefono e non nella stessa stanza amplificata da un paio di occhi tormentati.

«Speravo anche io che le cose tornassero a posto. Lo spero ancora.» Anna non sa se è la cosa giusta da dire, quasi sicuramente non lo è, ma è l'unica di cui sia certa.

«Andando avanti così? Tu che fai avanti e indietro finché non ti stanchi e io che cerco di ignorare il modo in cui mi guardi o il modo in cui io guardo te? No perché ‘sta cosa ha sempre funzionato da schifo tra di noi, non vedo come possa funzionare adesso quando io spero che tu mi dica “Luca ho fatto una cazzata, torno a Roma”.»

La frase si spegne nello spazio della stanza spoglia, in un silenzio che è dolorosamente incerto. Anna si tira le maniche a coprire le dita, un gesto che sfoga poco e niente del nervosismo che le ha fatto salire le lacrime agli occhi: è così stanca di passare per la carnefice della situazione, soprattutto ora che le sembra di essere l'unica a provare davvero a tenere in piedi le cose.

«Continui ad accusarmi di una cosa che non ho fatto e che non ho intenzione di fare. Ti rendi conto che sei fuori dal mondo, Lu’? Io sono andata via da Roma e da una situazione in cui non stavo bene, non sono andata via da te.»

La frustrazione di Luca si sgonfia come un palloncino.

«Sai qual è il nostro problema?» le chiede sorridendo amaro, «È che la tua verità non è la mia e viceversa. Tu dici di no ma per me sei andata via, a volte per colpa mia, a volte perché hai deciso così e basta. Poi mi accusi di aver lasciato casa perché non tengo più a noi e invece è solo perché non ne potevo più di avere un attacco di panico ogni volta che ti cercavo lì e non c'eri. Non ne potevo più, lo capisci? E non ne posso più ora, okay? Tutta questa incertezza mi farà impazzire e c'è già il Decimo per quello, va bene? Dovevo trovare una soluzione e l'unica che ho trovato è stata cambiare casa. Se non ti piace me ne farò una ragione, tanto non piace nemmeno a me, è una necessità e basta.»

Luca tira il fiato, prosciugato dal confronto più lungo e sincero che abbia mai avuto con Anna. Hanno messo sul tavolo quello che pensano e pazienza se sono state soprattutto accuse incrociate, il silenzio delle loro omissioni ha fatto solo danni, tanto vale non farsi più scrupoli. Luca si strofina il viso con decisione, gli occhi stretti fino a fare male, il respiro che si inceppa nella stretta di un silenzio che incombe tutto intorno. Deve uscire da lì.

«Puoi dormire in camera mia ovviamente, io prenderò il divano, mettiti pure comoda.»

«Dove vai?»

Luca si stringe nelle spalle. Non lo sa dove andrà: forse fuori, forse al Decimo, forse solo in giro finché non gli si schiarisce la mente. Ovunque, basta che non sia lì.


Qualunque tranquillità Luca avesse pensato di trovare al Decimo, le sue speranze si arenano nel momento stesso in cui mette piede in commissariato: l'atrio è una cacofonia di voci, con i suoi agenti che cercano pazientemente di tenere tutto sotto controllo. Brenta è al suo posto in guardiola, ma sembra già profondamente in crisi come dimostra la presenza di Ugo che cerca di liberarlo - letteralmente - dal filo del telefono e da quello del fax, le cornette che passano di mano in mano. Luca spera che qualcuno alla fine risponda a quelle telefonate e che non gli perdano nessun fax perché altrimenti, davvero, lui col filo del fax Brenta ce lo soffoca. Sempre se non lo fa Ugo prima di lui e, a giudicare dal suo sguardo, il rischio è elevatissimo.

Luca batte due colpi contro il vetro del gabbiotto e Brenta sobbalza, il telefono che gli salta di mano nel tentativo di mettersi sull’attenti. Ugo allarga le braccia verso Luca, annuisce disperato al suo sguardo torbido e abbassa fisicamente la mano del collega. Il ragazzo ha buone intenzioni, certo, ma è un disastro. Visto che ormai peggio di così la giornata non può andare, Luca si abbandona ad uno slancio di masochismo e si affaccia nei vari uffici, così, giusto per capire il livello di disagio generale. Pietro è nell'ufficio ispettori, Barbara al suo fianco e sulla scrivania c'è un mare di carte, tutto tranquillo su quel fronte. In fondo al corridoio, Tamara sta fotocopiando dei documenti, mentre Giuseppe e Vittoria sono nell'ufficio denuncia impegnati a raccogliere la dichiarazione di una signora. L'archivio poi, si rivela un’oasi di tranquillità nel caos e regala a Luca il primo autentico sorriso della giornata. Antonio è seduto alla scrivania, il computer acceso e un faldone alla sua sinistra. Se non fosse per l'assenza di divisa sembrerebbe essere tornati indietro di mesi.

«Antonio! Che ci fai qui?»

Parmesan alza gli occhi dal computer e restituisce a Luca un sorriso altrettanto sincero.

«Ero passato per un saluto e ho visto che c'era un po' di confusione, soprattutto in guardiola. Così ho detto ad Ugo che forse era meglio se andava a dare una mano, che qui ci avrei pensato io, che tanto il vice questore non avrebbe avuto niente da ridire».

«Ah, no no! Il vice questore apprezza e ringrazia, anzi è totalmente d'accordo se volessi tornare qua».

«Lo sai che se avete bisogno di una mano io ci sono. Non voglio starvi in mezzo ai piedi ma non mi dispiace affatto stare qui, lo sai»

«E tu lo sai che finché il Decimo è aperto tu puoi venire qui quando e come vuoi.»

L'implicazione che ad un certo punto potrebbe non esserlo è troppo palese perché Antonio non la noti.

«C'è sempre il rischio chiusura, eh?»

Luca sospira, allarga le mani e si siede davanti alla scrivania di Parmesan.

«Sono riuscito ad ottenere qualche uomo in più e a mantenere il presidio della zona, ma non so se basta. Il questore mi sta con il fiato sul collo e ho la sensazione che basterà mezza cosa sbagliata per riscrivere l'ordine di chiusura».

Antonio incrocia le mani sul piano della scrivania, inclina la testa a guardare Luca per una manciata di secondi che sono lunghissimi, poi annuisce come se qualunque cosa che gli fosse passata per la testa avesse trovato lì, nel tempo di un'occhiata, la risposta che cercava.

«Sei diventato scomodo, eh? Tre anni a guidare il Decimo e sei diventato scomodo. È un bel traguardo Luca, vuol dire che ci tieni, vuol dire che stai lavorando bene e, soprattutto, vuol dire che sei l'uomo giusto al posto giusto.»

«Sì, forse, non lo so. È che so cosa vuol dire il distretto per questo quartiere, so quanto bene ha fatto, quindi se per tenerlo aperto devo diventare scomodo, ben venga! Anche perché non credo di poter fare altro.»

C'è un sottofondo di rassegnazione nelle parole di Luca che ad Antonio non piace. E non crede che c'entri solo il lavoro.

«Il problema non è solamente il Decimo, vero? Voglio dire che, ogni tanto, quando ti sento al telefono, me ne accorgo dalla voce che c'è qualcosa che non va, come se volessi essere ovunque tranne che qui.» E quel qui è il distretto, è Roma, è la sua stessa esistenza. A turno e in loop. Luca abbassa la testa, il mento appoggiato sul petto, a disagio: questa cosa che Antonio riesca sempre a leggergli nella mente lo fa sentire vulnerabile, ma anche straordinariamente visto e non è capitato spesso nella sua vita che qualcuno vedesse di lui tutto, pensieri, desideri e dubbi compresi. «C'entra ancora tutta la situazione con Anna, vero?»

Antonio non si mai fatto troppi scrupoli nel dire le cose e non si è mai fatto problemi a mettere Luca al suo posto e a costringerlo a fare i conti con la realtà delle cose. Il loro rapporto è costellato di momenti in cui un discorso del primo ha costretto il secondo a rivedere idee e posizioni. Il punto è che stavolta non è proprio così semplice ed essere sincero con sé stesso è scomodo e doloroso. Luca apprezza che Antonio affronti l’argomento così, che gliela butti lì con il tono discreto di chi già sa, perché la domanda è mera cortesia e la questione è l'elefante nella stanza. Da mesi ormai. Da così tanto tempo che non c'è più lo spazio per far finta che non sia un problema.

«C'entra la situazione di Anna, sì.»

La frase è una confessione che gli toglie un peso dallo stomaco.

«Dovete affrontare la situazione, Luca. Dovete parlarne, ma parlarne sul serio, perché se dopo mesi tu stai ancora così vuol dire che è ancora tutto da risolvere.»

Antonio ha ragione, come sempre.

«Anna è a Roma questo weekend e ne abbiamo parlato. Senza giri parole, finalmente.»

«Bene!»

Antonio è contento, quasi sollevato, poi incrocia lo sguardo di Luca e capisce che non c'è proprio tanto di cui andare allegri.

«È andata male?»

«Non so com'è andata, Anto’. Di sicuro ci siamo detti tutto quello che pensavamo, però non lo so… Mi sembra che sia ancora tutto lì e che, contemporaneamente, non ci sia più nulla… È complicato.»

«Luca, la vita è complicata, l’amore ancora di più. Però mica deve esserlo sempre, per forza e fino alla fine, no? Le cose si possono semplificare.»

«E come? Perché io lo voglio davvero, credimi, ma poi parliamo e finiamo per discutere e io non so cosa fare, tranne prendere ed andarmene.»

Luca non sa più dove sbattere la testa, la verità è questa. E Antonio gli vuole bene da morire, ma a volte vorrebbe tanto scuoterlo finché non ripiglia a ragionare bene, perché come si fa a sabotarsi sempre così tanto da soli?

«Tu, questa cosa qua, che pigli e te ne vai via, la devi smettere di fare, va bene? Non funziona, Luca. Devi restare, anche se la discussione diventa scomoda, non puoi andartene perché non ti piace quello che senti. Quindi, non lo so, tornatene a casa e vai a parlare con Anna. Di nuovo.»

«E che le devo di’, Anto’?»

«Lo sai cosa le devi dire, Luca.»

Antonio ha ragione anche adesso, perché Luca lo sa benissimo cosa deve dirle. Si tratta di tre semplici parole che vivono indisturbate nella sua testa dal giorno stesso in cui Anna ha nominato per la prima volta Trieste. Ti amo, resta. L'unico ostacolo è che gli manca il coraggio di pronunciarle ad alta voce, perché sono un impegno così grosso che lui non lo sa se può davvero garantirle il per sempre che promettono. C'è una piccola, ostinata, parte del suo cuore che continua ad essere terrorizzata dal pensiero di buttarsi in questo amore e che trova più rassicurante dare tutte le colpe a lei.

«È complicato,» dice ad Antonio e dentro ci sono talmente tante cose e il suo sguardo è così agitato che Parmesan perde qualsiasi voglia di rimproverarlo. Gli riserva invece un sorriso comprensivo e una mano allungata a stringergli un polso.

«Ehi,» Anna si affaccia dalla porta dell'archivio, «non volevo disturbarvi, ma mi avevano detto che eri qui.»

«Non disturbi affatto! Ciao, Anna!» È Antonio a rompere il ghiaccio e accetta il mezzo abbraccio della ragazza con un sorriso caloroso.

«Ciao, Antonio! Che bello vederti! Ti hanno rimesso a lavorare?»

«Ah, mi sono offerto volontario! Sarà che mi manca un po' il Decimo o che Ugo mi faceva un po’ pena a impazzire tra qui e la guardiola, non lo so. Forse è solo che ho un debole per il vice questore qui, chi lo sa.»

Luca scuote la testa e ride, non sa se per l'affetto nelle parole di Antonio o per l'orgoglio con cui sottolinea sempre quel vice questore quasi ne fosse più fiero di lui.

«L'ultima cosa è la più probabile», Anna lo sussurra come se si stessero scambiando chissà che confidenza, mentre Luca si sforza di rimanere indifferente.

«Comunque dovrebbero farti santo, Antonio, perché effettivamente sono passata davanti alla guardiola adesso e Ugo mi è sembrato un po’ provato dal nuovo agente lì.»

«È l'effetto Brenta, siamo tutti un po' provati, ma persistiamo.»

Luca ha il tono serissimo di chi cerca di convincere sé stesso più che gli altri, ma Antonio annuisce lo stesso. È questione di vicinanza nelle difficoltà.

«Come mai sei qui?»

Luca lo chiede cercando di suonare il più disinteressato possibile, animato da pura curiosità e basta, e solo perché lei è venuta a cercarlo in ufficio, non per altro.

«Volevo scusarmi.»

Luca sospira, chiude un attimo gli occhi e poi scuote la testa, perché anche questa è una cosa trita e ritrita tra di loro. Litigano, dicono quello che pensano e poi chiedono scusa e si nascondono. E il giro inizia da capo. Stavolta però, le cose prendono una piega diversa, perché Anna scuote la testa prima e più forte di lui.

«No, devo scusarmi, Luca… per prima e per un sacco di altre cose e, non so, forse lo dobbiamo fare entrambi. Pensavo che potevamo parlarne a casa senza darci addosso. Domattina però, perché per stasera avrei un'idea.»

Luca non si fida particolarmente ma riconosce la cosa per quello che è: un tentativo di riallacciare i ponti sfilacciati del loro rapporto e quindi le va dietro. Si limita a farle una semplice domanda.

«Cioè? Cosa avevi in mente?»

«Hai casa nuova, no!? Ecco, quindi c'è bisogno di una festa di benvenuto!»

«Oh! Benvenuto di nome e di fatto, mi piace! È perfetto!»

La battuta di Antonio è pessima, ma ha il pregio di abbattere ciò che resta delle difese di Luca. È una sorta di incoraggiamento, qualcosa che ha a che fare con quello che gli ha detto prima sul non scappare più. E se è così, la prima cosa da fare è trovare un punto di incontro e questo può esserlo anche se nel loro consueto modo complicato e metaforico di fare le cose.

«Ok, cosa avevi in mente di preciso?»

«Niente di complicato, qualcosa di semplice con noi del Decimo. Visto che tra un po' è Natale, pensavo che potremmo unire l'utile al dilettevole e mangiare insieme mentre addobbiamo l'albero.»

Luca non ci ha pensato nemmeno al Natale, non ha idea di dove piazzare l'albero, anzi, non ce l'ha proprio un albero. Per un lungo, angoscioso, momento sembra essere lì lì per ammetterlo e rovinare tutto ancora prima che si realizzi, e nonostante tutta la sua buona volontà. Ancora una volta, è Antonio a lanciargli un'ancora di salvezza.

«Ottima idea! Io e gli altri possiamo occuparci del cibo. Basta dirlo a Giuseppe e ci sarà da mangiare per un esercito, vedrai!»

«Ecco! Grazie, Antonio! Speravo proprio che qualcuno mi aiutasse. Così, se voi pensate a quello, io mi posso occupare dell'albero!»

«Okay, allora vengo con te a prenderlo.»

«No, no! Tu devi solo arrivare a casa stasera e aver voglia di festeggiare! Ci penso io all'albero, anche perché ho già reclutato qualcuno come manovalanza.»

Luca inclina la testa. Non è il caso di soffermarsi troppo a pensare al modo in cui lei ha detto le cose, è molto più semplice e sicuro, qui nel mezzo dell'ufficio, concentrarsi su quella che percepisce non essere una genialata.

«E chi hai scelto per la manovalanza?»

«Gabriele!»

«Sei sicura?»

Non è che Luca abbia dei problemi a lasciarla andare con Gabriele, è solo che teme il livello di disagio e distrazione che il ragazzo riesce sempre a causare.

«Sì, sì, sono sicura. Guarda, ho proposto l'idea agli altri, fuori, e lui si è offerto di aiutarmi con gli addobbi.»

Adesso sì che Luca è davvero preoccupato. Insomma, non è colpa sua se il primo flash nella sua mente è stato un albero pieno di palline da tennis appese. Veramente, non è colpa sua, è Gabriele che ha perennemente una pallina in mano. Luca non può essere ritenuto responsabile dell'immagine che gli si è palesata in mente e la casa è già brutta di suo, non le serve anche il colpo di grazia di un albero addobbato a palle da tennis. Non è cosa, davvero, e sta per dirlo, ma è già troppo tardi. Gabriele si affaccia in ufficio, la testa che fa capolino dallo stipite e quella benedetta pallina già a rimbalzare sul pavimento.

«Ehi, commissario, se mi dai il pomeriggio libero vado a sceglierti gli addobbi.»

«Si dice vice questore, Gabriele e poi, davvero, non ce n'è bisogno.»

Luca lo dice in modo accorato, magari basta a contenere l'entusiasmo del collega e il rischio di addobbi a tema.

«Guarda, a pensare male crederei che non ti fidi di me o che hai dei dubbi sul mio gusto. Cioè, devo ricordarvi che sono francese? I francesi sono famosi per il buon gusto. E poi so già cosa prendere, sarà bellissimo.»

A questo punto l'unico modo per Luca per venirne fuori sarebbe essere scortese… e Gabriele è il ritratto della felicità… Quindi, ovviamente, Gabriele andrà a fare shopping con Anna.

«Va bene, hai il permesso di andare, sempre se hai chi ti copre qui!»

«Nessun problema, ci pensano Esposito e Rostagno a coprire il resto del mio turno.»

«Va bene, allora, però mi raccomando Gabrie’, niente di eccessivo, ci siamo capiti, no?»

Gabriele annuisce solenne. «Ricevuto, vice questore, agli ordini.» Gabriele esce dall'ufficio dopo una mezza piroetta, la pallina afferrata a metà di un rimbalzo e Anna presa sottobraccio e tirata a rimorchio dietro di sé. Sembra davvero un bambino la mattina di Natale, è un po’ inquietante come cosa e Luca sceglie di non pensarci troppo, anche perché, in fin dei conti, cosa può succedere? Male che vada, avrà in soggiorno l'albero degli incubi, non la cosa peggiore che possa succedergli, visti i precedenti.

Forte di questo ragionamento, Luca si alza e saluta Antonio, una pacca sulle spalle e un sorriso che è un grazie e tante altre cose messe insieme. Per la prima volta da giorni, gli girano un po' meno le scatole e Luca lo considera un primo piccolo miracolo di Natale.


Fuori è buio già da un pezzo e non solo perché è inverno e fa notte prima, ma perché Luca se l'è presa comoda per tornare a casa. Ha tergiversato. Ha perso tempo a firmare carte e organizzare i turni e qualunque altra cosa gli venisse in mente per guadagnare ad Anna il tempo e lo spazio necessari a mettere in piedi la sua sorpresa, questa specie di inaugurazione della casa nuova. A pensarci bene, questa è la cosa più strana di tutte, perché Luca può fare tutte le storie che vuole, ma lo sa benissimo che quella casa non vale lo sforzo di farsela piacere. È evidente che è il modo di Anna di chiedere scusa e forse non basta, ma è pur sempre un inizio. Il pensiero è incoraggiante e Luca si ripete il discorso di Antonio più e più volte - parlatevi, parlatevi davvero - come un mantra. Pieno di coraggio, Luca rientra a casa.

L'appartamento è illuminato e, in sottofondo, dalla sala arrivano le note di una canzone natalizia. Anna è in sala e gira intorno ad un albero di Natale enorme, e non è solo un modo di dire. Occupa praticamente mezza stanza e, con i suoi rami aperti, qualcuno anche un po’ storto, sembra un po' esagerato ma ha indubbiamente un suo perché, la promessa sicura di essere meraviglioso una volta addobbato. Luca comincia a pensare che non sia poi una cattiva idea questa serata o almeno ci spera. È già tutto così diverso rispetto al pomeriggio, quando lui e Anna si sono vomitati addosso tutta la loro frustrazione. Adesso c'è tutta un'altra atmosfera, come fossero finiti in un universo parallelo. Se è così, Luca è pronto a metterci la firma per restarci all'infinito.

Anna è in tuta, i capelli malamente legati, e si muove tra scatole e scatoloni con occhio critico, come se l’albero non fosse proprio come lo voleva lei.

«Cosa c'è che non va?» le chiede Luca dalla soglia della porta. Anna sobbalza perché non l'aveva sentito entrare, persa come era nel suo mondo di entusiasmo e preparativi.

«È storto!» ribatte di colpo, come facevano prima, quando abitavano insieme e non sentivano il bisogno di pensare e ripensare ogni singola parola.

«Vabbè, aggiustiamolo!»

Di puro istinto, Luca si sfila la giacca e la butta sul divano, mentre Anna torna a guardare l'albero. Si mette ad armeggiare con i rami, li sposta un po' di qua e un po' di là, ma il buco in mezzo rimane lì. Luca le va in soccorso e le mani si incrociano e si sfiorano tra gli aghi di plastica.

«Ecco, sistemato.»

Luca sfila le mani imbarazzato, ma Anna le afferra prima che lui possa allontanarsi davvero e c'è poco da equivocare: lo sta tenendo per mano e sembra normale e straordinario allo stesso momento, come se il gesto mettesse tutto a posto e fosse il punto di inizio di qualcosa di profondamente diverso.

«Luca, mi dispiace davvero per prima. Non avrei dovuto essere così critica, così negativa, anche perché hai ragione e hai sicuramente avuto i tuoi motivi per cambiare casa. La verità è che molti di quei motivi ho preferito ignorarli, perché se no avrei dovuto ammettere che c'avevo messo del mio e avevo rovinato qualcosa che funzionava.»

«Le cose le abbiamo rovinate in due, Anna,» Luca si stringe nelle spalle, «siamo stati tutti e due bravissimi a non parlare e a dare per scontato che l'altro sapesse tutto e se ne fregasse.»

«Due geni, eh?»

«Già, siamo piuttosto stupidi sulle questioni d'amore.»

«Du’ scemi, in pratica.»

Anna sintetizza il concetto con impeccabile precisione e Luca ride, leggero come non mai. In fin dei conti, riconoscere problemi e difetti è il primo passo e loro lo hanno finalmente compiuto.

«Quindi? Cosa proponi per sistemare le cose?» chiede Anna, titubante ma fiduciosa.

«Dobbiamo imparare a parlarci, anche e soprattutto quando è difficile, perché ci sono delle cose che devo dirti e che ho bisogno che tu ascolti… quindi, questo, parlarci.»

Non c'è altra strada per loro, niente che non passi dall'assoluta sincerità reciproca. Luca è disposto a impegnarsi con tutto sé stesso, gli serve solo sapere se lo è anche Anna.

«È lo stesso per me, Lu’! Anche io ho tante cose da dirti: perché faccio avanti e indietro, perché nonostante tutto sono ancora qui e tutto quello che vorrei e che spero… quindi sì, vada per il parlarci. Anzi, sai cosa? Facciamolo diventare il nostro proposito per il nuovo anno.»

Luca annuisce e Anna gli sorride in quel modo tutto suo fatto di occhi luminosi e speranza indifesa.

C'è un'aria strana intorno a loro, elettrica, piena di una nuova intenzione che sfrigola agli angoli degli occhi e nella curva di un sorriso e soprattutto sotto la pelle. Luca vorrebbe solo abbracciare Anna ma ancora non sa se può, quindi occupa le mani tirando su le maniche della camicia.

«Allora, dove sono questi addobbi straordinari che Gabriele ha promesso?»

Anna ride divertita e si inginocchia in mezzo a due grandi scatoloni. Luca La imita e si ritrovano sul pavimento attorno all'albero da addobbare. Anna apre una scatola e poi un'altra e tira fuori gli addobbi e Luca rimane a bocca aperta. Sono figure di cristallo delicatissime e meravigliose. Ci sono stelle e sfere, ci sono renne e soldatini di piombo, e poi un mare di fiocchi di neve e ghiaccioli, tutti trasparenti come acqua. Luca prende in mano un fiocco di neve e lo alza davanti agli occhi e il cristallo riflette la luce in una miriade di piccoli arcobaleni.

«Di certo non mi aspettavo questo tipo di decorazioni.»

«Eh, nemmeno io mi fidavo troppo all'inizio, però ha ragione quando dice che ha buon gusto: guarda qui!»

Anna passa in rassegna una serie di stelle, affascinata.

«Onestamente, ero convinto mi sarei ritrovato circondato da palle da tennis e-»

Anna alza un dito davanti alla faccia di Luca. «Aspetta un secondo!» lo ferma e torna a rovistare con attenzione in una delle scatole finché non ne riemerge vittoriosa con una perfetta palla da tennis di cristallo che ruota su stessa appesa al suo cordoncino argentato. «Ce ne sono sei così, rendiamocene conto!»

«Lo sapevo! Lo sapevo che Gabriele non può smentirsi mai, oh!»

«Eh, è fissato che te devo di’.»

I due ridono, si guardano, le decorazioni che passano di mano in mano e poi, Luca non lo sa che succede. Non lo sa se gli scatta qualcosa in testa o se, semplicemente, si è stancato di aspettare, di parlare e di sperare che le cose vadano bene per conto loro. Per una volta, Luca semplicemente non pensa, afferra Anna per un braccio e se la tira addosso. Lei non sussulta nemmeno, solo gli pianta le mani sul petto e lo guarda con occhi grandi e liquidi, tutta la fiducia del mondo scritta in faccia. È il momento perfetto, quello dove tutto può ancora succedere, eppure lo sanno che non può durare. Prima o poi uno dei due dovrà pur fare una mossa, qualcosa che non sia solo la promessa di parlarsi. Quello lo hanno già fatto, di chiacchiere ne hanno già sprecate tante e altre ce ne saranno per chiarire, per decidere, per rimettersi in piedi. Adesso, l'unica cosa che conta è la distanza annullata tra di loro, è la stretta di Luca che diventa un abbraccio, gli occhi che si chiudono e le labbra che si trovano. Nessuno dei due sa come succede, ma si ritrovano per terra, i delicati addobbi di cristallo che tintinnano rotolando accanto a loro. Per un momento, brevissimo, a Luca passa per la testa che dovrebbero fare attenzione a non rompere nulla, ma il pensiero va via veloce come è arrivato. Anna occupa ogni spazio possibile - tra le sue braccia, sotto le sue labbra, nei suoi pensieri - e va bene così.

Anna affonda le mani tra i suoi capelli e tira, il dolore leggero di un attimo di lucidità.

«Letto!» ordina Luca, la voce arrochita.

«Divano!» ribatte Anna, «È più vicino!»

Luca adora questa linea di pensiero, anche se significa staccarsi da Anna. Lo fa a malincuore, ma il divano è ad un braccio di distanza e se, nella fretta di raggiungerlo, un paio delle palline da tennis di cristallo incontrano la loro fine sotto un ginocchio o un piede, beh pazienza! La vita è fatta di priorità, no? Luca lo sa benissimo e Anna è sempre stata la sua priorità, ancora prima che ne fosse davvero consapevole, quando tutto ciò che la sua testa ammetteva era di aver trovato un'amica. Ora, finalmente, può dirsi la verità: è qualcosa di più. È il suo regalo di Natale e il buon proposito dell'anno nuovo, è il lato bello della vita e la quiete dopo la tempesta, è il suo per sempre.

NdA: Ed eccoci all'ultimo capitolo! Che dire, è stato un piacevole ritorno a questo fandom e, checché ne dica Kat, la cosa mi ha fatto capire che un po' ho perso la mano con lo scrivere in generale e con i personaggi di DdP in particolare. Però, un'altra cosa che mi si è riconfermata è che, anche oggi, Luca Benvenuto resta uno dei miei personaggi televisivi preferiti in assoluto (fanno tanti remake e reboot, cosa non darei per un nuovo DdP dove scopriamo che non è davvero morto... ah *sospira*). Vabbè, bando ai vaneggiamenti e, per un'ultima volta, buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me.

Cap. 9 - Here again

Il nuovo anno è lontano una manciata di ore e il conto alla rovescia di Luca è un'attesa che ribolle di euforia ed entusiasmo. Per la prima volta, forse da sempre, aspetta la mezzanotte e non vede l'ora che arrivi. È una cosa metaforica, ha a che fare con questa sua seconda opportunità di vita e le occasioni da cogliere e i nuovi inizi da afferrare. È uno spartiacque e lui si sente fiducioso abbastanza da attraversarlo sperando per il meglio. La casa, tutto intorno a lui, gli restituisce il suo stesso stato d'animo, le sue stesse emozioni amplificate dalle risate e dalle chiacchiere dei suoi amici. Ingargiola sta sistemando il necessario per la tombola sul tavolo, la tovaglia ripiegata malamente nell'angolino più lontano, Vittoria che lo guarda con la pazienza di un santo. Quante tombolate ha già dovuto sopportare in queste feste? Elisa ha il compito di distribuire le cartelle, Ugo quello di raccogliere i soldi che andranno a formare il montepremi.

«Due euro a cartella? Che so' 'sti prezzi Giuse'?»

«E che vuoi da me? È l'inflazione.»

Pietro si lamenta ma Ingargiola lo liquida con un'alzata di spalle, troppo preso a sistemarsi a capotavola per condurre il gioco. Un re e il suo regno di numeri. Un uomo felice. Luca capisce perché Vittoria deve armarsi di pazienza. Elena, da sopra la sua spalla, osserva la situazione e decide che questa deve essere la sua serata.

«Sei cartelle, Ingargio'. Ho voglia di vincere!»

Pietro riprende a lamentarsi stavolta perché, apparentemente, è scorretto comprare così tante cartelle e non è giusto perché diventa questione di probabilità e diventa sbilanciato e sì, insomma, non è giusto. Lo dice e lo ripete un paio di volte ancora, a mo' di rafforzativo. Barbara lo lascia parlare poi, con tutta la calma del mondo, gli rifila uno scappellotto e gli dice di comprarsi anche lui sei cartelle. Così sono pari, no?

«Sì, ma so' dodici euro» insiste, offeso nel profondo, ma c'è poco da fare. Ingargiola ha fissato il prezzo e quello è. Pietro tira fuori le monete con una tale sofferenza che sembra lo si stia derubando di tutti i suoi averi. Saggiamente, Barbara e Vittoria rimangono fuori da questa partita che si preannuncia all'ultimo sangue mentre Ugo si butta nella mischia sventolando quattro cartelle.

Elisa si spiaccica contro Anna, tre cartelle aperte a ventaglio tra le mani. «Mamma, posso giocare anch'io?»

Anna butta un'occhiata distratta verso la tavola, immagina il delirio che da lì a poco si scatenerà e guarda sua figlia negli occhi, seria.

«Vuoi davvero giocare con quelli là? Ti avverto, amore, verrà fuori una cosa molto molto disagiata.»

«Sì, sì! A me fanno ridere.»

«Contenta tu!»

Anna va a recuperare i soldi dalla borsa e Luca ne approfitta per andare a rovistare nello svuotatasche all'ingresso. Ci sono le chiavi e un variegato assortimento di monetine e lui ci rovista finché non riesce a mettere insieme i sei euro necessari per altre tre cartelle. Mortalmente serio, li aggiunge a quelli che Anna ha appena dato ad Elisa.

«Prendi sei cartelle anche tu. Quelli sono giocatori senza scrupoli, non puoi partire svantaggiata.»

Anna ride perché sembra tutto così tanto solenne che è ridicolo. Solo loro possono trasformare una semplicissima tombolata in una questione di vita o morte. Elisa accetta i soldi, li ringrazia con un sorriso che le va da un orecchio all'altro e si accomoda a tavola tra Elena e Pietro. La ragazzina ha il gusto del pericolo, non c'è che dire.

Ingargiola comincia a chiamare i numeri e a Luca niente potrebbe sembrare più perfetto: i suoi amici nella sua casa, le luci dell'albero di Natale, il concertone di capodanno in sottofondo alla tv, il tono argentino di Elisa che sovrasta tutto e Anna seduta accanto a lui, un unico punto di contatto dalla spalla al ginocchio, come se non avessero tutto il divano a loro disposizione. Tutto converge in una speranza per il futuro che non ricorda di aver mai avuto. È una sensazione piacevolmente strana.

I numeri della tombola si susseguono in rapida successione uno dopo l'altro accompagnati dall'interpretazione della smorfia e i giocatori non si risparmiano. Delusione e soddisfazione si alternano ad ogni chiamata: un ambo per Ugo, un terno per Elisa, Pietro ed Elena che si parlano addosso borbottando come pentole di fagioli, Barbara e Vittoria che sgranocchiano frutta secca e intanto fanno a gara a chi ha il marito più fuori di testa. Secondo Luca è una bella gara anche se, in questo momento, la sua preferenza andrebbe a Pietro che sembra davvero stralunato, mentre Giuseppe continua ad estrarre i numeri tutto felice. Lui, invece, se ne sta sul divano e si gode l'immagine spensierata dei suoi amici e il calore di Anna al suo fianco. È come se negli ultimi giorni - nelle ultime settimane - tutto fosse andato lentamente al proprio posto e lui avesse finalmente riacquistato il proprio ruolo nel mondo, i suoi sogni e i suoi pensieri e le sue volontà finalmente in prospettiva. Luca non è così ingenuo da pensare che qualche settimana di terapia possa risolvergli i problemi di una vita intera ma sa che il percorso è quello giusto e che non c'è nulla di male a godersi i risultati ottenuti. Niente è perfetto, non fosse altro perché la perfezione non esiste, ma sarebbe pura ipocrisia far finta che le cose non sono cambiate, e in meglio. Quindi, riconosce il lavoro che sta facendo, i buoni risultati lungo il percorso e l'esaltante sensazione che prova ad essere sé stesso. Per una volta nella vita.

Accanto a lui, Anna tira su le gambe sul divano e appoggia la testa sulla sua spalla e intanto esulta ad ogni numero che Elisa segna sulle sue cartelle. Luca la sente ridacchiare contro di sé e non riesce a non pensare a quello che gli ha detto la dottoressa durante l'ultima sessione un paio di giorni fa. Se senti che è giusto averla accanto perché non dare un nome e quello che c'è tra di voi? Luca non ha più voglia di appiccicarsi addosso etichette ma pensa che per lui ed Anna debba fare un'eccezione. Tanti anni fa ha avuto paura di mandare tutto all'aria ma ora è arrivato il momento di fare il passo decisivo. Luca gira la testa e le sue labbra sfiorano i capelli di Anna.

«Ricordi quando mi hai chiesto cosa volevo dalla vita e da noi?»

Anna lo guarda. Si ricorda perfettamente la discussione che hanno avuto qualche giorno fa quando lui cercava risposte agli interrogativi della terapista. «Hai detto che volevi una possibilità.» Il suo tono di voce è un sussurro per fingere di essere da soli quando tutto intorno c'è rumore.

«Esatto, una possibilità! Ci ho pensato tanto e ne ho parlato ancora di più, e sono arrivato alla conclusione che va bene parlarne ma, più che altro, dovrei cominciare a crearmela questa possibilità.» Luca intende un sacco di cose con quelle parole, intende loro due e il fatto di tornare al lavoro e tutta quanta la piega da dare alla sua vita. Dentro c'è di tutto, decisioni importanti, cambiamenti da innescare, discorsi da riprendere. Paradossalmente, la cosa che gli è sempre apparsa più complicata è in realtà la più semplice di tutte. Anche se resta un salto nel buio. Anche se non ci sono certezze. Anche se i dubbi di prima sono ancora tutti qui. Luca non sa se sta promettendo cose che non potrà mantenere e non sa come andrà a finire però, a differenza di quando tutto questo appariva insormontabile, ora si è reso conto che non è un problema della sua storia con Anna. Ora sa che sarebbe così in qualunque caso, anche se dall'altra parte ci fosse un uomo, perché non si tratta di darsi etichette o di fare una graduatoria e decidere se gli piacciono di più gli uomini o solo gli uomini. Più che altro si tratta di riconoscere la sua verità e la sua verità è che Anna gli è piombata tra capo e collo, unica nel suo genere, e ha mandato all'aria qualunque convinzione avesse. E allora, se è così e se l'amore è amore sempre, cosa c'è di così difficile nel provarci almeno? Luca decide di farlo in quel preciso istante. Allunga una mano verso Anna, il palmo verso l'alto.

«Vogliamo darci una possibilità e vedere come va?»

«Tanto per essere chiari, quando dici di darci una possibilità, intendi essere più che amici?»

Anna ha bisogno di capire bene quello che lui le sta chiedendo perché è disposta a tutto, anche a lanciarsi nel vuoto con lui, ma non può più esserci spazio per fraintendimenti. È per questo che chiede e accetta il rischio di passare per una ragazzina che non capisce.

«È esattamente quello che intendo, sì, più che amici… se provi ancora qualcosa del genere per me.»

Prima o poi riusciranno a dirselo che si amano, prima o poi ci riusciranno a dare il nome corretto a questo sentimento che li lega l'uno all'altro, nonostante tutto, nonostante la crudeltà della vita e tutte le scelte sbagliate e i tempi sfasati. Prima o poi ci riusciranno, non stasera certo, non su questo divano l'ultimo dell'anno di un anno che ha rimesso a posto tutto e che poi lo ha sconvolto di nuovo. Prima o poi useranno il nome giusto, per ora non ce la fanno ancora a chiamarlo amore anche se è esattamente quello, lo sanno entrambi, e quando Anna lascia scivolare la mano in quella di Luca è più o meno come dirselo. Il resto della risposta di lei è un sì con la testa annegato in un sorriso bellissimo, la capacità di parlare naufragata nella felicità che le stringe la gola.

«20, 'a festa!» chiama Ingargiola.

«Tombola!» esclama Ugo e il caos discende sulla cucina.

Pietro ed Elena cominciano a contestare tutto - ci manca poco che mettano in discussione la stessa napoletanità di Giuseppe, - Elisa ride perché sono tutti pazzi e Ugo sventola in aria la cartella vincente. Anna e Luca rimangono sospesi in un bacio mancato, qualcosa di inebriante che si deposita sul fondo dello stomaco - come essere ubriachi senza aver bevuto niente, come ragazzini ebbri delle prime vere emozioni. Vittoria li guarda di sottecchi con il sorriso di chi sa già tutto e che trabocca di un'approvazione così palese che Anna e Luca devono distogliere lo sguardo dall'amica e allontanarsi un po' l'uno dall'altro. È un po' uno shock rendersi conto che non sono davvero soli nell'ultimo scampolo di quel 31 dicembre che torna improvvisamente reale. E rumoroso.

Attorno alla tombola le proteste continuano: Pietro invoca la rivincita, Elena parla di cartelle truccate e Barbara alza gli occhi al cielo nella occhiata più scocciata che sia mai esistita.

Vittoria li lascia borbottare un altro po' e poi scaccia i litiganti dal tavolo. Al posto delle cartelle e dei numeri sistema l'ennesimo panettone, la bottiglia di spumante da stappare, l'uva da mangiare allo scoccare della mezzanotte per buon augurio, come il cotechino e le lenticchie, come il melograno e la frutta secca, come i cornetti rossi che Ingargiola ha appeso un po' ovunque. Luca non sa se è un'esagerazione tutta quella scaramanzia ma male non fa. Ha finalmente imparato che ogni aiuto è ben accetto, anche se non c'è nulla di vero ed è solo suggestione. Poco più di mezz'ora li separa dalla mezzanotte quando Anna sgattaiola via dal divano. Elisa le corre dietro e quando tornano in sala hanno una scatola infiocchettata e due identici sorrisi impertinenti.

«Per te!» esclama Elisa e gli appoggia la scatola sulle ginocchia. Incuriosito, Luca ricambia istintivamente il sorriso della bambina. Quando apre la scatola, dentro ci trova due piccole latte di vernice gialla e verde. Luca se le rigira fra le mani mentre occhi curiosi si puntano su Anna. Lei si stringe nelle spalle.

«Nell'altra casa, quella che io e Luca abbiamo condiviso tanti anni fa, c'era un angolino vicino al balcone dove c'erano le impronte delle nostre mani fatte con la vernice colorata ed era una delle mie cose preferite. Non lo so, ho pensato che poteva essere una bella idea fare qualcosa di simile anche qui.» Anna fa di nuovo spallucce, come se non fosse tutto sto granché come idea, come se Luca non la fissasse dal divano con gli occhi pericolosamente lucidi. «Vabbè, poi Luca si lamenta sempre che la casa è troppo bianca, quindi pensavo che potesse essere un modo come un altro per renderla un po' più allegra.»

Elena, che sta annegando la sua sconfitta a tombola in una fetta di panettone grande come la sua faccia, annuisce a bocca piena e si gira a guardare la parete accanto al balcone come per studiare quale può essere il posto migliore. Luca, semplicemente, non ha parole. Anche lui ricorda le impronte delle loro mani in quella prima casa insieme, il simbolo di ciò che c'era stato e che, ad un certo punto, non c'era stato più. Il rimpianto dura il tempo che serve alla prima macchia di colore per apparire sulla parete bianca. A cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, tutto ricomincia un'impronta alla volta - Giuseppe, Vittoria, Ugo, Pietro, Barbara, Elena, - le rocce che lo hanno aiutato a rimettersi in piedi. Al centro di quel piccolo mondo, Luca preme la sua mano, verde come la speranza, e accanto alla sua, gialle come spicchi di sole, si posano le mani di Anna ed Elisa, uno sbuffo di cielo blu dove le tre impronte si sovrappongono.

In TV parte il countdown.

10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1.

Fuori da quella casa piena di amore esplodono i fuochi d'artificio, lì tra pareti colorate di giallo e verde, il tappo dello spumante salta per aria, Elisa ride, qualcuno urla buon anno nuovo e Luca fa il suo personalissimo salto nel vuoto.

Luca bacia Anna e le dice «Ti amo!»

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NdA: Grazie a Kat per il commento anche qui Continuiamo con il disagio La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me.

Cap. 1 - Lost in a dream


Vittoria si chiude la porta della stanza alle spalle, ingoia a vuoto un paio di volte e si obbliga a sorridere. Lo stesso incipit di ogni visita.

Appoggia la borsa sulla sedia, la giacca sulla spalliera, il telefono sul comodino. Gli stessi gesti di sempre, come un copione mandato a memoria.

Si guarda intorno con occhi critici, come sempre, perché c'è sempre qualcosa che non va. Ed è la finestra, ogni volta la finestra - chiusa quando dovrebbe essere aperta, aperta quando dovrebbe essere chiusa. E le coperte, sempre storte, a penzolare male da un lato. Vittoria sospira, apre la finestra e aggiusta la coperta. Lo sa che nulla è davvero fuori posto, è solo un rituale, il modo che le regala quel lungo preziosissimo minuto per prepararsi. O per illudersi di essere preparata a quello che vedrà in quel letto occupato che rimane sempre lo stesso. Come da dieci anni a questa parte.

«Ciao Luca.»

Il sorriso vacilla, la voce trema un po' e Vittoria ha voglia di piangere. Come ogni volta che lo vede e si accorge che niente è cambiato.

Luca è sempre immobile, gli occhi sempre chiusi, sempre meno simile al ragazzo che le sorride dal fondo dei suoi ricordi.

Vittoria scaccia con rabbia le lacrime che le rigano il viso, anche quelle sempre le stesse, anno dopo anno, giorno dopo giorno, a tradire quell'istintivo momento di debolezza in cui pensa che tutto sia perduto e che questo - l'attesa che si snoda senza cambiamenti - sia tutto inutile. Ultimamente il pensiero ci mette un po' più del solito a scomparire e persiste fastidioso anche adesso, ad avvelenare la carezza e il bacio con cui Vittoria saluta Luca.

Il buio è irreale, solido e senza via di scampo. È un sogno senza colori, un posto senza niente, dove tutto si estingue ancora prima di esistere, dove ogni sensazione è appena un lampo di luce, troppo debole e troppo breve perché lui ci si possa aggrappare. C'è una carezza forse dall'altro lato del buio, e una lucina si accende nel vuoto. Che strano però, stavolta non si spegne.

«Allora, sei pronto per il nostro appuntamento?»

Vittoria si sforza di suonare allegra, e chi se ne frega se il tono è di una falsità tale da accapponare la pelle, da qualche parte dovrà pure trovare il coraggio per tenersi insieme. Altrimenti finirà per andare in pezzi, soccombendo alla crisi di nervi che le brucia sottopelle ogni volta che si trova in questa stanza. Quindi, va benissimo così, che benedetta sia questa allegria di carta straccia.

«Nina ha preparato una playlist nuova, me l'ha messa sul telefono, aspetta,» Vittoria smanetta un po' col cellulare finché la musica non parte, bassa e delicata. «Mmm, ok, a quanto pare abbiamo cambiato genere e meno male, no? Ti ricordi quella dell'altra volta? Mammamia.»

Vittoria rabbrividisce, i gusti musicali di Nina sono in perenne cambiamento e completamente imprevedibili. La scorsa settimana, per esempio, dallo speaker del telefono è partita una roba in tedesco così furiosa che un paio di infermiere sono accorse in camera spaventate. Ecco perché, oggi, il volume è basso e la musica è un sottofondo gentile.

Vittoria ascolta per qualche istante, e poi l'espressione stupita diventa curiosa. «Secondo te, questo cambio musicale è solo incertezza adolescenziale o c'è di mezzo una cottarella?»

Il puntino di luce è sempre là, una macchiolina a sinistra del niente. Perché ci sarà pure una sinistra in questa oscurità, giusto? Lui pensa di sì, ammesso che quello che sta facendo sia effettivamente pensare. Magari, se non lo è, è almeno qualcosa di simile, qualcosa a cui può finalmente aggrapparsi. Il puntino di luce inizia a pulsare, onde diafane che si allargano nel buio pigre come la musica che sente. No, scusa, la musica che sente?

«Secondo me è una cotta e sai chi può essere? Mattia, il compagno di scuola, quello che c'ha il padre con la concessionaria d'auto. Te ne ho parlato, vero? È quello che Ingargiola non sopporta perché dice che guarda troppo Nina. Di solito Giuseppe è scemo su ste cose eh, ma forse forse, stavolta c'ha ragione.»

Vittoria si siede accanto al letto e lascia che le sue parole galleggino sulla musica, lente e cadenzate. Non ha nessuna fretta di finire il discorso, in fondo un argomento vale l'altro, l'importante è riempire il silenzio. A volte è difficile però, perché la tristezza è una presenza tangibile in questa stanza e ogni tanto le parole non si fanno nemmeno trovare, si arrendono da qualche parte tra il cuore e la mente. Oggi, però, Vittoria parla e lascia andare la musica e riempie il silenzio di mille altri suoni. La sedia che stride sul pavimento, le chiavi che tintinnano nella borsa mentre ci rovista, un sacchetto di carta che si stropiccia, un tappo che si svita ruotando su sé stesso.

«Ho portato la crema per le mani, Lu'!»

C'è davvero della musica in questo strano posto e tanti piccoli altri suoni che si rincorrono come gocce da un rubinetto difettoso. È fastidioso all'inizio e, per un attimo, l'oscurità sembra una prospettiva così allettante con il suo niente e la sua quiete. Il punto è che, da qualche parte, c'è un bip insistente, regolare, impossibile da ignorare. E Luca sente che deve prestare attenzione. Luca? Oh…

«Ugo ha deciso che deve imbiancare casa e a chi ha chiesto aiuto? A Giuseppe, ovvio. Ma io dico, ti sembra una buona idea?»

Vittoria se lo chiede davvero mentre spalma la crema sulla mano di Luca e lui, dalla sua mente, la asseconda "non lo è?"

No, non lo è. «È una bischerata, ecco che cos'è! Cioè, ma dove vogliono andare? Quelli già erano vecchi a vent'anni, figurati mo'. Già me li vedo, incriccati dopo la prima passata di pennello.» Il Luca dei suoi ricordi scuote la testa con lei. «Che testoni che sono.»

Nonostante tutto, il commento suona pieno d'affetto. Se è per i due testoni o per il ragazzo nella sua mente, Vittoria preferisce non chiederselo. Anche perché, se lo facesse, sa già quale sarebbe la risposta e non è sicura che le piacerebbe. Dovrebbe ripetersi di nuovo - per l'ennesima, inutile, dolorosa volta - che Luca è la figura immobile in quel letto d'ospedale, non l'immagine piena di vita riproposta continuamente dalla sua memoria. Allora meglio non chiedersi niente, dieci anni sono stati utilissimi a perfezionare l'arte del far finta di niente.

«E adesso l'altra mano.» Vittoria posa delicatamente la mano destra di Luca sul lenzuolo e afferra la sinistra. Le vene sono ombre azzurre sotto la pelle sottile del polso, le dita una fila di nocche dolorosamente visibili. «Sei troppo magro, Lu'.»

Luca. Lu'... Ok, si tratta di lui. Lui è Luca. Fin qui ci siamo, c'ha messo un po' a rendersene conto ma è tutto così difficile in questo posto. E pensare è la cosa più difficile di tutte. C'è un tale caos adesso. Suoni e sensazioni si sovrappongono e litigano per imporsi. È una fatica mettere ordine, ma poi il buio comincia a ritirarsi ed è come trovare il bandolo della matassa. La luce è ormai ovunque e la musica ha ceduto il posto d'onore ad una voce. Rassicurante. Familiare. È il centro della luce, il punto più luminoso di tutti e Luca ne è attratto - una falena nella notte.

«Ecco fatto, adesso va meglio.»

Vittoria lascia scivolare la mano sul lenzuolo con un'ultima piccola pacca sul dorso. «Bello liscio e pure profumato di fiori d'arancio e vaniglia.» Ridacchia, sente che, se potesse, Luca la guarderebbe a sopracciglia inarcate. «Oh, la crema me l'ha data Nina, e l'ha pure scelta apposta per te, perché è la sua preferita o qualcosa del genere. A Ingargiola ne ha rifilato una al geranio che puzza solo a guardarla». E infatti, la faccia di Giuseppe era stata tutto un programma, a metà tra il disgusto e l'amore paterno, così indeciso che anche il suo "grazie, bell' 'e papà" era venuto fuori come se avesse un punto interrogativo alla fine. Vittoria sorride mentre mette via la crema, anche le sue mani che profumano come un pomeriggio di maggio. «Oh, però Nina ha ragione, questa è buona davvero. Però, se non ti piace, puoi sempre dirmelo Lu', non mi offendo mica.»

Aspetta, Vittoria. C'è sempre un momento nella liturgia di queste visite, in cui lei si ferma ed aspetta. Cosa di preciso non lo sa bene neppure lei. Sospetta che, a questo punto, andrebbe bene tutto. Il movimento di una palpebra o di un dito, anche solo uno sfarfallamento di ciglia, una risposta qualsiasi. Ci spera ancora, Vittoria, in modo ostinato e cocciuto, senza nulla a sostenerla davvero se non le sue convinzioni. Perché lei Luca lo conosce bene e sente - sa - che c'è un motivo se il suo cuore continua a battere nonostante tutto.

Vittoria ha smesso di fare questi discorsi con gli altri - con Barbara e Pietro, con Elena, con Ugo, persino con Ingargiola - perché si è accorta che loro cominciano a dubitare, stanchi ed addolorati. Ma lei ha imparato ad ignorare le cose che non le piacciono, arte meravigliosa proprio come il far finta di niente. Non sarà un comportamento salutare, va bene, non ha problemi ad ammetterlo ma, finché funziona, è quello che continuerà a fare. Anche adesso, in questo preciso momento. Ignora il nulla che c'è ed insiste.

«Coraggio Lu', perché non apri gli occhi e mi dici qualcosa?»

La luce adesso è accecante e lui è proprio nel centro, il buio così lontano che sembra non essere mai esistito. E la voce… la voce ormai lo circonda, così familiare da starci male. Lo avvolge da ogni angolo, ed è calda come mani che si stringono, profumata come aranci in fiore. E poi c'è il modo in cui pronuncia il suo nome… come se ci fosse una preghiera impressa tra le lettere, una supplica, anche quella familiare, come se Luca l'avesse già sentita mille e mille volte ma solo adesso l'avesse compresa.

«Perché non ti svegli, eh? Hai dormito abbastanza, adesso basta, no? Dai, apri gli occhi, Lu'.»

La luce esplode in un attimo di folgorante consapevolezza. C'è Vittoria al centro di quell'esplosione, la sua voce e quella preghiera che palpita impazzita dal fondo di giorni, mesi e anni. E quando mai lui le ha detto di no?

Aspetta ancora, Vittoria. Spera. E Luca apre gli occhi.

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